Questo libro è stato pubblicato nel 1913, dopo essersi fatto conoscere grazie alle tipiche “uscite a puntate” allegate al giornale “L’illustrazione italiana”.
Romanzo deleddiano per eccellenza, è infatti il primo titolo che balza in mente quando si sente nominare questa fantastica (ma tremendamente concreta) scrittrice vissuta a cavallo tra due secoli.
Curioso come il titolo “Canne al vento” sia invece un rimando a un romanzo da Lei scritto in precedenza (anno 1903 per la precisione) e abbia tratto spunto proprio da una citazione tratta dal libro”Elias Portolu“
“Uomini siamo, Elias, uomini fragili come canne, pensaci bene. Al di sopra di noi c’è una forza che non possiamo vincere”.
La tela su cui viene dipinto il romanzo è la brulla Sardegna, siamo a Galte per onor di precisazione, col suo caldo polveroso e le ombre che seguono i corpi in movimento.
Siamo a Galte, dicevo, con le sue figure di femmine che, fuso alla mano, ricamano belle che sedute fuori dalla porta di casa.
I fiori rossi in cima al pozzo; le ossa bianche che, simili a margherite, luccicano al sole nel prato-cimitero; con l’acqua che mormora piano e si accompagna allo strisciare degli spiriti della notte; con i folletti e le panas (donne morte di parto), con le cipolle per companatico e con il profumo di gelsomini a far da sottofondo, per dire, musicale.
“Efix cammina, piccolo e nero fra tanta grandiosità luminosa.
Il sole obliquo fa scintillare tutta la pianura; ogni giunco ha un filo d’argento, da ogni cespuglio di euforbia sale un grido d’uccello; ed ecco il cono verde e bianco del monte di galte solcato da ombre e da strisce di sole, e ai suoi piedi il paese che pare composto dei soli ruderi dell’antica città romana.”
Ed è tutto così questo splendido romanzo che ti prende per mano e ti accompagna, dolcemente, in una terra antica che sa di sudore, di chiacchiere, di pettegolezzi, di dolore, di povertà e sofferenza, di detti popolari, credenze, religione, fede, calunnie e imbrogli.
Tutto questo è la Sardegna rurale del primo novecento.
I protagonisti di questa storia sono tanti: c’è il già citato Efix, protagonista, servo della nobile famiglia Pintor e, vicino a lui, conosciamo chi ora vive con dignità d’animo nella stessa casa, le tre sorelle rimaste: Ruth, Noemi e Ester Pintor e poi tutti gli altri abitanti del Paese: Giacinto (il figlio della sorella ribelle), l’ammaliata Grixenda, Don Predu
e…
e via scrivendo sino alla fine del libro giacchè in ogni pagina c’è un intreccio, un’inanellarsi di cuori, di mani, di sguardi, di paure e di riverenze.
«Sì, siamo esattamente come le canne al vento. Noi siamo le canne e la sorte il vento». Ester: «Sì, va bene, ma perché questa sorte?» Efix: «E perché il vento? Solo Dio lo sa».
Canne, Vento…
…canne al vento.

Importante sapere che, sin dalle tradizioni antiche, le canne hanno da sempre avuto un valore simbolico decisamente contrapposto: per la mitologia egiziana rappresentano la fecondità e, dunque, sono inno di buon auspicio alla vita mentre, nella mitologia greco-romana, collocandosi in luoghi paludosi, melmosi, stagnanti, sono associate alla sciagura, al regno degli inferi, alla morte.
Sui due piatti della bilancia troviamo, dunque, da una parte la flessibilità, la duttilità e il falso arrendersi al vento – doti necessarie per essere una persona dotta – mentre, sull’altro piatto, troviamo mancanza di resistenza, di rigore, di stabilità ed è proprio questo che contribuirebbe a portare sfortuna ai proprietari di case limitrofe.
Vento
Vento come espressione del muoversi dell’anima attraverso il soffio divino.
Canne al Vento, dunque:
Corpi flessibili ma senza radici forti che ne ancorino la fisicità in maniera stabile; canne come persone che si illudono di domare i loro destini ma sono invece in balia del fato, di una folata di vento inattesa o di un’ora di calura statica che nulla muove e nulla stringe.
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