Beatrice. Secondo l’onomastica, colei che rende felici. Capelli rossi che danzano come foglie nel vento di novembre. Semplicità bambina che sveste i piedi dai tacchi e cammina scalza su sentieri di sorrisi e parole. Stupore e allegria contagiosa. Cuore che entra e scava nelle piccole cose per cavar fuori la mite bellezza della perla e il profumo mandorlato dell’oleandro.
Occhi limpidi assetati di vita. Occhi che rincorrono l’abbraccio morbido del nonno e il garbo dolce e rassicurante di Nonna-Cuore. Occhi che si perdono nelle pieghe arcane delle Parole, cullati e coccolati dalla luce tenue e confortante delle candele, nell’incanto segreto della sala di lettura casalinga. Occhi che cavalcano le nubi, mentre l’aria si imbeve di note. Occhi che sanno guardare oltre, bucando le pennellate della tela. Occhi che riflettono le pagliuzze rosate del crepuscolo. Occhi che si perdono in altri occhi. Occhi che respirano al battito di un altro cuore. Occhi che volano e svolazzano, che cantano e ridono. Occhi che abbracciano la vita.
Occhi che, in un secondo, perdono la vita. La smarriscono nello stridore di gomme che graffiano l’asfalto. Quando quel manto scuro carezzato da una pioggia leggera si porta via – con gesto asciutto e repentino – il suo cuore, i suoi ricordi, il suo Amore.
C’è un tempo oggettivo. Scandito e misurato dagli orologi. Il tempo ufficiale. Convenzionale. Che non dipende dalla nostra percezione di esso.
Poi ci sono gli “orologi molli”. Che si dilatano. Si espandono. Si liquefanno. Dilagano, a voler riempire tutti gli interstizi. Oppure si contraggono. Si ripiegano. Si rattrappiscono. Si chiudono e si raccolgono in posizione fetale. Le lancette stranite di questi orologi scandiscono un tempo ondeggiante, che asseconda i ritmi e i respiri dell’Io. Un secondo per scomparire. Per cancellare, annullare, grattare via ore, giorni, anni di una vita. Dopo quel secondo fatale l’esistenza di Beatrice si trasforma in un elastico lento, molle, che si allunga a dismisura.
“Può un secondo cancellare anni? Servono sempre anni, per recuperare un secondo?”
Una vita divenuta senza vita, dove i secondi e i minuti sono infiniti spazi vuoti da riempire, con altri vuoti. Il pieno – delle risate, delle parole, dei ricordi, di una quotidianità di piccole felicità e grandi preoccupazioni – si azzera. Tutto si congela in un istante e diventa immoto, impietrito.
Beatrice si chiude, si rinchiude, si racchiude nel suo limbo. Si trascina nelle sue nuove giornate cercando disperatamente di non sprofondare. Nel nulla. E di non affondare. Nei ricordi. Di un passato che non esiste più né può esistere ancora. Galleggia, a mezz’aria, dove niente e nessuno può raggiungerla. Getta via la chiave dello scrigno che si cela nel suo animo. Parole, immagini, suoni, risate, istantanee, discussioni, colori, fiori, piccoli squarci di normalità, ricordi, profumi, sogni. Tutto. Un blocco di ghiaccio cementifica tutto. Sorda alle lettere dei nonni, che cercano di annullare la distanza geografica e la distanza siderale nella quale si è rifugiata Beatrice con fogli pregni di lacrime e sorrisi d’affetto.
Cieca al dolore e all’impotenza dei genitori e del fratello, che nel silenzio e nella penombra di una casa che non conosce più risate e voci, disperatamente vogliono lacerare quel velo invisibile dietro il quale la loro Alice si è nascosta, nel tentativo di farla ritornare al di qua dello specchio.
Impermeabile alle carezze di vento del suo amore, alle sue parole di luna, ai suoi respiri non più viventi, ma vivi, al rumore silente del suo cuore, che più non batte, ma sempre batterà accanto al suo. Un cuore che non teme la morte, che ha dovuto piegarsi alla volontà cieca e ingorda del suo alito, quel secondo, fatale, su quell’asfalto, funesto, ma che atterrisce ora di fronte al gelo che imprigiona Beatrice, la sua luce.
“Continuo ad avvicinarmi e continuo a imbattermi sulla tela del tuo ombrello, su quella porta che tieni chiusa, su quel blocco di ghiaccio che ti imprigiona il cuore.”
Si risveglierà il fiore dal suo sonno di foglie, per tornare ad accogliere i generosi raggi del sole?
Ho letto alcuni estratti pubblicati in rete del romanzo di Lisa Molaro e subito ho deciso di volerlo leggere per intero. Quegli assaggi erano invitanti, squisitamente appetibili. Ma come si conviene a ogni buon aperitivo, esso prelude sempre ad un pasto succulento. E così è stato. Un banchetto in grande stile ….
Scrittura raffinata e venata di sapiente e delicata poesia. Squarci di leggera ironia, riflesso di uno sguardo che si posa sul mondo con acume e prontezza di spirito. Una finissima capacità di introspezione, di dire il dolore in modo garbato, composto, senza compiacimenti, senza fronzoli. Pagine che sono un inno d’amore a ciò che rende la vita viva. Libri. Note. Sogni. Un cuore che si dona.
“Tutto sommato,
la felicità è una piccola cosa”
(Trilussa)
La felicità può nascondersi, come granello di polvere invisibile, tra le pagine di un libro…. Di questo libro. Provare, anzi leggere. Per credere
Ebbene, cosa dovrei rispondere ad una recensione del genere?
Solo un semplice: “grazie”?
Sarebbe riduttivo e ingrato, da parte mia! Davvero non ho molte parole, e mi capita raramente! Mi sono emozionata, ho sentito un brivido e una vocina che, da dentro mi chiedeva: “Ma parla del tuo libro? Hai scritto tutte quelle lì? in un modo così sublime?” Cara vocina, non farmi tante domande e lascia che io mi goda la beatitudine che Ilaria mi regala! Lasciami crogiolare in questo bel tepore… almeno per un po’, poi ritornerò con i piedi per terra! Ti ringrazio per la delicatezza con cui hai parlato delle emozioni che ti hanno fatto di volta in volta, girare la pagina in fretta. Ogni volta è una gioia immensa sapere che le nottate trascorse davanti ad un freddo monitor dalla luce bluette, bevendo del tè bollente alla malva o alla vaniglia, ascoltando musica di sottofondo e annullando il ticchettio dell’orologio alla parete… ogni volta, dicevo, è una gioia immensa sapere che la luce fredda si trasforma in calore. Grazie.
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