
“(…) Stabile in apparenza, il quotidiano cela così in sé un dinamismo: il suo elemento motore è infatti il ricorrente e discreto addomesticamento del mondo. Un processo cui si accompagna l’altrettanto ricorrente tendenza a nascondere agli occhi del soggetto il processo di addomesticamento in se stesso, per cui quello che è in fondo un lavoro di occultamento e di rimozione dell’ambiguità delle cose appare alla fine come semplice
adattamento alle cose “come stanno”: un adattamento che, in breve, può essere descritto come un processo di “deproblematizzazione dell’esperienza”. Tale processo non è però mai concluso. La vertigine che promana dal fatto che le cose “possono stare altrimenti”, lo “spaesamento” costitutivo dell’esistenza, è ciò che il senso comune, una volta instaurato, rimuove. Ma ciò che è rimosso non è eliminato. E nel cuore di ogni processo di costituzione del senso comune si nasconde così la possibilità che il dubbio riappaia. Perché l’estraneo è in fondo ineliminabile. E il senso comune non
è che un gioco interminabile fra inquietudine e rassicurazione (Bégout 2005).”
Tratto dal saggio “Narrazione ed esperienza. Intorno alla semiotica della vita quotidiana – a cura di Gianfranco Marrone, Nicola Dusi, Giorgio Lo Feudo”
Mentre “sottolineavo” questo passaggio, non ho potuto fare a meno di riflettere sul parallelismo con questi giorni, giorni in cui il CoronaVirus ci fa da regista. Mi chiarisco: questo saggio non narra di queste epidemie – non ergendole a Focus perlomeno – ma tra le svariate argomentazioni inerenti alla narratività semantica o etnografica molti aspetti del “normale” quotidiano trovano modo di salire sul podio del lettore, a seconda del personale vivere e sentire. Di questo, però, magari scriverò in modo più approfondito quando avrò terminato il libro (ora sono a poco più della metà!).
Qui voglio riflettere un secondo – come se questa fosse una pagina di diario personale – su quanto è contestaualizzabile questo passaggio – che ho sopra riportato – con i giorni che stiamo vivendo rintanati a casa, chiusi dentro una capsula che profuma – o odora? – di amuchina e alcool etilico – beh, io ho acceso anche l’incenso alla cannella, a dire il vero!
Mi chiedo se adesso ci stiamo trovando nel “le cose cose stanno” o se stiamo ancora aggrappandoci al “le cose come stavano“… prima.
E quando – perché prima o poi inizierà ad avverarsi – inizieremo a volgere le spalle a tutto questo, il “le cose come stavano” quanto ci troverà confusi e storditi rispetto al prossimo “le cose come adesso stanno“?
Dovremo essere in grado di deproblematizzare un’esperienza che, avendo superato i 20 giorni famosi atti a formare un’abitudine, abitudine lo è diventata ed ecco che sì, sarà un’altalena interminabile fra inquietudine e rassicurazione!
Questo libro parla di narratività, lo scrivevo prima, io sto narrandoVi un dubbio e mi sto chiedendo quanti saranno i pezzi di questo Puzzle dalla forma nuova che abbiamo sotto gli occhi…
L’ha ripubblicato su Alessandria today @ Web Media. Pier Carlo Lava.
"Mi piace""Mi piace"
Riflessione interessante, ma credo che per riabituarsi al prima in molti ci metteranno molto meno di 20 giorni
"Mi piace""Mi piace"
Io credo che questo periodo sia molto incidente sulla sfera psichica di molti.
"Mi piace"Piace a 1 persona