
Stamattina, 25 giugno 2020, nella sezione ‘Cultura’ del Messaggero Veneto, ho letto un articolo scritto dalla giornalista Fabiana Dallavalle intitolato:
“La pandemia ha distrutto ciò che davamo per scontato”

Lo scrittore David Grossman – di cui ho letto solo “Che tu sia per me un coltello” molti anni fa e che, con calma e maggior consapevolezza, intendo rileggere – nei prossimi giorni riceverà online, il prestigioso Premio Hemingway, attribuitogli “per i romanzi carichi di sensibilità e ricchi di immaginazione che si dispiega pagina dopo pagina in architetture romanzesche perfette e innovative, fino alle pieghe più nascoste, sofferte e vive dell’animo umano”.
Come si legge dall’articolo, da venerdì sul sito premiohemingway.it, dalle ore 18, sarà pubblicato in streaming il video in cui Grossman, dialogando con il presidente di Giuria Alberto Giarlini, confiderà riflessioni e pensieri sul periodo di lockdown appena trascorso, ma non solo. Ovviamente parlerà anche del suo nuovo romanzo “La vita gioca con me” edito con la Mondadori.
Nell’articolo – interessante – della giornalista, ho trovato l’anima di Grossman.
Se il libro che scrivo non mi trasforma, per me non ha scopo scriverlo. Non accade con ogni libro, purtroppo, ma con molti libri è successo: li scrivo e poi, d’improvviso, capisco qualcosa. Solo attraverso la scrittura capisco.
Esco dall’articolo un secondo, allacciandomi a un consiglio di ANAÏS NIN:
“Se non respiri attraverso la scrittura, se non piangi nello scrivere, o canti scrivendo, allora non scrivere, perché alla nostra cultura non serve.”
La scrittura, perché sia viva, deve scaturire da un pentolino in subbuglio; parole vittime e artefici di un’energia cinetica in grado di far evaporare, eviscerandole quasi, emozioni, sensazioni e percezioni.
Tante volte, scrivere, è inconsapevolmente metabolizzare. E questa non è solo una saggia terapia psicoanalitica…
Curioso il fatto che Grossman – ritornando ora all’articolo – durante la Pandemia asserisca di aver sentito il bisogno di due cose in particolare: scrivere libri per bambini – libri pieni di gioia e di speranza – e leggere libri pubblicati prima della sua data di nascita.
Bisogno di alleggerirsi, alleggerendo? Bisogno di infanzia senza data di scadenza?
Per certo, di bisogno di spensierata gaiezza fanciullesca (stereotipando quel tanto che basta per immaginare, utopicamente, i sorrisi sui volti di tutti i bambini – magari!) c’è n’è un gran bisogno!
Lisa.
Bell’articolo, brava Lisa! 🙂 Non ho letto nulla di Grossman, finora. Mi è paciuta la frase di Anaïs Nin; molto bella anche la tua considerazione finale. 🙂
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Grossman è liricamente arzigogolato 😊
Ti pare di perderti, dentro pieghe dell’anima stirate con uno stile elegante… invece, tra le pieghe, non ti perdi ma voli! È particolare e molto bello, almeno per me lo è stato. Ma 🙂
Grazie e buongiorno.
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Buongiorno Lisa, grazie, lo metto in lista 🙂
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Scusami, ho frainteso, credevo che “Il senso della scrittura” fosse un suo libro… 😉
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“Se non respiri attraverso la scrittura, se non piangi nello scrivere, o canti scrivendo, allora non scrivere, perché alla nostra cultura non serve.”
Alla faccia dell’estremismo culturale! 😅
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Non posso darti tutti i torti… sempre per quel citato, e auspicato, senso di leggerezza :-p
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Esatto. Ok, magari la leggerezza rientra nel cantare (o ballare), ma se uno è stonato (o imbalsamato), magari si trattiene e mette tutto nelle pagine.
Per la cronanaca sono stonato e imbalsamato, quindi…
Non vedo motivo, poi, che una sola persona detti le linee guida di quello che che è definibile cultura letteraria da ciò che non lo è.
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Hai ragione.
Avevo comunque riportato questa citazione – che usciva dall’articolo e che non veniva citata nell’articolo, quindi mera mia colpa – solamente perché la ritengo esplicativa di quanto siano importanti le emozioni di chi scrive.
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No, beh, ci mancherebbe: come non credo sia giusto che sia lei a dettare le linee guida, nemmeno io mi arrogo il diritto di dire che non lo è lei, ma esprimo solo il mio punto di vista.
E poi io con le emozioni ci sto facendo i conti (o per meglio dire rac-conti), perciò non sono in disaccordo con l’idea, ma con l’applicazione assolutizzante della stessa 😉
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sono d’accordo con te, ovvio, ché poi ‘gli assoluti’ poco mi piacciono in qualsiasi ambito che non sia scientifico.
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certo, la sua citazione era ‘portare all’estremo’ un concetto.
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Beh, dai. Diciamo che voce in capitolo un po’ più di me ne aveva (e forse ne ha tuttora!) 🙂
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No, io ho capito benissimo il tuo punto di vista (facilmente condivisibile) e sono d’accordo. Io, intendevo solo allacciarmi parlando delle emozioni scaturite nel processo della scrittura. Si può scrivere di qualsiasi cosa, a seconda del mood personale metterci o meno più o meno enfasi, ma penso che se scatta l’empatia tra chi scrive e i suoi personaggi di carta, questo traspare in modo potente e tutto poi traspare al lettore. Per questo Grossman sottolinea il sentirsi spesso mutato dopo la stesura di un romanzo, credo.
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Già. Che poi I personaggi di carta, così come tu li chiami, per me sono vivi e vegeti in qualche altra dimensione. 😉
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Anche quelli dei miei libri, in realtà 😊
Il primo è proprio tratto da una stora vera…
Li ho chiamati ‘personaggi di carta’ solo per definirli nel contesto.
Sia da scrittrice sia da lettrice, come te e come la maggior parte di chi ma leggere – o leggere e scrivere – penso che i bei personaggi siano in 3d 😊
Non per nulla viviamo storie parallele attraverso la letteratura.
E la lettura cambia.
E la scrittura pure.
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Buongiorno a te!
E’ proprio vero quello che dici. Il problema vero è quando i personaggi vogliono prendere le decisioni di testa loro: allora sì son battaglie per capire chi è che comanda. E di solito sono loro… 😅
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🤣quasi sempre
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Buongiorno
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