
“Fiore di fulmine” è il secondo romanzo di Vanessa Roggeri, edito con la Garzanti.
Della stessa autrice, che ama definirsi “una sarda nuragica, innamorata della sua isola così aspra e coriacea, ma anche fiera e indomita“, avevo già letto – e amato – “Il cuore selvatico del ginepro”. Ben sapevo, dunque, in che tipo di libro mi sarei addentrata e da quanta intensità mi sarei sentita rapita.
I titoli e le copertine sono premesse e promesse. Indizi. Fascinazioni.
Fiore di fulmine…
Nora ha solo undici anni quando rimane colpita da un fulmine. Per tutti nel piccolo villaggio sardo dove è cresciuta, la bambina è morta. Ma non è quello il suo destino. Nora riapre i suoi grandi occhi verdi, torna alla vita. Il fulmine le ha lasciato il segno di un fiore rosso sulla pelle bianca e la capacità di vedere quello che gli altri non vedono. C’è un nome per quelle come lei, bidemortos, coloro che vedono i morti, e la gente ne hanno paura. La sua famiglia decide di allontanarla. A Cagliari, in un istituto per orfanelle, Nora chiude la sua anima in un guscio di dolore mentre aspetta invano che qualcuno venga a prenderla. Finché un giorno una donna elegante e altera si staglia sulla soglia dell’istituto. È Donna Trinez, una ricca viscontessa. Lei conosce la storia di Nora e sa cosa significa perdere una parte della propria anima. Per questo ha deciso di aiutarla. Perché un po’ di gentilezza può far rifiorire anche un cuore ferito…
La storia del coraggio di una bambina e della forza di una donna; di una condanna ingiusta, e della capacità di rinascere alla vita.
Poco meno di 300 pagine, un soffio, una scossa, un brivido, un battito, un palpito. Un tempo immerso in un luogo altro. Questo è il potere dei romanzi perfetti!
Non posso che usare termini estatici, abbondare con elogi e occhi sgranati… vorrei riuscire a essere più basica e oggettiva usando in questo articolo termini “lisci”, stringati e lucidi ma no, non posso poiché il libro mi ha davvero entusiasmata e, a costo di sembrare una fan sfegatata dell’autrice, ho deciso di non tirar la cinghia ai complimenti!
Questo libro è stato scritto con l’eleganza tipica dei grandi classici ottocenteschi e, senza strabordanti svolazzi stilistici, l’effetto “ricercato” è comunque venuto a galla; l’importanza di ogni parola, la cura in cui una è stata accostata all’altra, il ritmo narrativo, i dialoghi, le descrizioni, i colori, le forme… tutto l’insieme è stato… wow!
“Fiore di fulmine” è un insieme di ingredienti diversi, di sensi e non sensi, di metafore, sorellanza, amore, amicizia, diniego, fuga, spiriti, attimi gotici, anfratti, pesanti stoffe damascate, piccole porte celate dalla carta da parati, bambole, spine, scatole di latta, gelsi e alberi strangolatori.
Un libro di innocenza, poche risate, miniera e ricamo.
Contrasti avvolti in filo d’argentodiroccia e d’oroseta.
Io pure conosco il senso ipnotico del ricamare in estasi.
All’inizio della storia Nora è morta per la prima volta e io ho mi sono ritrovata a pensare “beh, Vanessa, bell’asso di denari da gettare così, subito, sul tavolo!” e, curiosa, ho proseguito, giungendo, alla fine, al cospetto di molti altri “colpi a effetti”. Sul filo del rasoio, sul filo della ragnatela d’argento, sul filo del percepito e del celato, sul filo della tensione, sul filo del fulmine e sulla sua diramazione. Su aridità e pozzanghere, crepe e seta, argine e cielo, colpo di sole e lume spento d’improvviso.
Al buio davanti nel cuore e al buio davanti ai piedi. Voragini.
Vita in tempesta. Non una sola però… e quindi VITE, vite in tempesta!
Di queste tempeste ho guardato la proiezione cinematografica, leggendone.
Ho visto i granelli di polvere nelle pieghe delle ampie gonne; sfiorato mani callose di serva domestica e dita affusolate di Dama di Carità; sentito zoppicare e visto nocche farsi bianche d’ira stringendo la testa del bastone d’appoggio; ho visto gettare con sprezzo gli occhiali da vista sulla scrivania, udito battere i panni, lucidare tegami, sentito il fruscio della carta dell’album da disegno mentre veniva, furtivamente, sfogliato; un grido, un silenzio, un turbinio di sensi. Terra avvelenata, pregna di tossicità come certi animi umani. Contaminazioni. Intrecci. Radici. Vetri infranti con terrore e speranza. Sangue. Sulle mani, sul viso, nell’imbottitura.
«Ho pensato che le piante di questo giardino potrebbero essere entrate in corrispondenza con certi dolori dell’anima che affliggono chi le ama e ogni giorno se ne prende cura. E’ probabile allora che come naturale conseguenza, i rami, le foglie e le rare infiorescenze mostrino i segni esteriori di quella sofferenza. Ecco perché non riuscite a trovare il male che le affligge: viene da dentro, da recessi che non si possono scrutare» “Fiore di fulmine” – Vanessa Roggeri.
Nora è la protagonista ma tutto – e con “tutto” intendo proprio tutto! – è descritto con una precisione vivida e partecipativa.
Per il lettore non empatizzare è impossibile… qui non c’entra la mia maledetta ipersensibilità!
Ci sono tutte le caratteristiche umane, in queste pagine: la testardaggine, la vigliaccheria, l’arrivismo, la sensibilità, la gaiezza spensierata al limite dell’ingenuità e la razionalità che vira al cinismo; gli abbandon e i ritorni, i tradimenti e le confessioni, i soprusi, i lutti.
La nascita? Qui è continua… come la morte; tutto è fine e tutto è inizio. In ciclo.
Poco “in confine” molto “in diramazione”.
Ho terminato di leggere “Fiore di fulmine” verso l’una di questa notte, con il cuore pieno e una consapevolezza rinnovata: di quest’Autrice leggerò tutto!