Sicuramente più di qualcuno di voi avrà letto il suo più famoso “La bastarda di Istanbul“, io non ancora, io ho iniziato da “Il palazzo delle pulci” per conoscere la scrittura di Elif Shafak – Rizzoli editore – e l’ho fatto perché non ho saputo resistere al connubio di questo titolo con la bellezza grafica della copertina, quando mi è comparso davanti agli occhi!
Elif Shafak è una pluripremiata scrittrice turco-britannica; tra i tanti premi e libri pubblicati, una curiosità: “La città ai confini del cielo” è stato scelto dalla duchessa di Cornovaglia per inaugurare il suo club del libro, The Reading Room.
Ma ritorniamo al romanzo…
Un professore universitario che si divide tra la passione per le donne e quella per Kierkegaard, la misteriosa Amante Blu, la stramba Igiene Tijen con la figlioletta Su, la vecchia Madama Zietta: sono gli stravaganti inquilini di Palazzo Bonbon, un edificio signorile ormai fatiscente nel cuore di Istanbul. Costruito a metà degli anni Sessanta da un ricco emigrato russo per la moglie pazza, è diventato un condominio, infestato dagli insetti e appestato da un odore terribile di cui non si conosce l’origine. Un eccentrico palcoscenico per le intricate vicende e le ossessioni dei protagonisti del Palazzo delle pulci, che intrecciano i loro destini sullo sfondo di una inquieta e vitale Istanbul, sospesa tra modernità e tradizione. Dopo lo straordinario successo della Bastarda di Istanbul, Elif Shafak ci regala un memorabile affresco della città sul Bosforo, da cui emergono i mille volti di una terra dal fascino senza fine.
Ho letto questo corposo romanzo, di quasi 500 pagine, senza quasi accorgermene; girando l’ultima pagina, ho svoltato l’angolo e lasciato, in fondo a Via della Cabala numero 88, Palazzo Bonbon.
Palazzo Bonbon… che nome dolce da dare a un edificio fatiscente, con i sacchi delle immondizie ammassati ovunque, con scarafaggi e altri insetti non meglio identificati a scivolare tra spazzole e fruscii!
Eppure, anni addietro, l’edificio ha trovato il suo nome grazie ai raggi del sole che filtravano attraverso cartine colorate di caramelle…
Sì, ok, cartine di caramelle a risvegliar memorie perse trasformate in ritrovate parvenze di presenza da cementificare, ribasare, isolare, fare il cappotto al palazzo come fosse un indumento che lascia fuori l’inverno in ogni stagione… ma gli anni passano, le persone cambiano, i muri si diroccano, gli oggetti intralciano e gli afrori infestano come blatte che si moltiplicano uscendo dall’immondizia.
Ora chi abita negli interni di questo caleidoscopico palazzo?
Abita l’umanità ultima, penultima, terzultima. Abitano i singoli e le famiglie, i cani, gli insetti, i vecchi e gli oggetti. Ci abita pure una puzza che assorda la logica e, scoprirne la fonte, è un tassello imprevisto alla fine del romanzo.
Tu zoomma l’umanità, con tutti i suoi contrasti e tutti i suoi percepiti e poi creale attorno un luogo: Palazzo Bonbon.
Dolori, visi che fanno l’amore, lattine luride, scritte sui muri, mania di controllo, mania di perfezione, mania dell’igiene, candeggina a pioggia, disinfettante che non toglie ciò che è invisibile all’occhio. Segreti, ammassi, giuramenti e spergiuri, binomio uomo-cane, donna-amore, tendaggi spessi, luce fioca, luce bianca, candore e oscurità. Parrucchieri gemelli, confessioni, lati in bianco e nero, personalità come diapositive in negativo; telenovelas, doppiaggi, voci sconosciute o fin troppo note, valigette di cuoio puzzolente, marionette, pollo speziato, specialità culinarie, lamette a tagliar pelle, macchie rosse a inzuppar spugna, disinfettante diverso, alcol, ghiaccio, bottiglie vuote, vetro, ferite aperte e invisibili. Spray, maledizioni sopra sacchi di vita buttata, santità repressa, candele, scale, scalini e scaloni. Scatoloni. Tanti. E carabattole, vetrini, ceramiche, vassoi, fiorellini, di plastica, tazzine sbeccate, vassoi con scene dipinte, oriente, occidente, un misto che arriva dalle onde. Sabbia. Capelli e cappelli. Parrucche e convenzioni.
Pullula. Tutto. Tutto fermenta vita. Palazzo Bonbon ha perso il profumo delle caramelle…
👉 Anfratti di psiche isolata o incastrata tra le pieghe dei propri giorni.
Incroci, parole, profondità, cimiteri, santi e profani.
Maledizioni, fioretti chiusi dentro a sciarpe di seta, chiacchiere, pettegolezzi, vestiti in volo che s’impigliano ai rami.
Barbe lunghe, acne in faccia, acqua aromatizzata, amanti blu, storie vere, storie finte, leggende, larve.
Interni di palazzo, porte chiuse, porte aperte, elenchi, ripetizioni, rafforzativi, punti di sospensione, punti finali.
Tristezza.
Complessità umana.
Ricerca di un senso. Trovarlo. Non trovarlo.
Dipende dal destino?
Quanto può pesare fare la cosa giusta? Quali sono i limiti della decenza? Quali i limiti del “non si fa”? Chi ha lo scettro sulle vite altrui? E sulla tua? Chi ha il potere delle scelte?