Recensione “Il dolore è una cosa con le piume” Max Porter

Cos’ho letto? Da dove sono appena uscita? Cos’è stato?

Craaa Craaa fa il corvo, guardandomi con quel suo gigantesco occhio indagatore.

Craaa Craaaa fa agitando le piume mentre becca qualche cosa di marcio, di lercio e puzzolente.

Cosa becca? Dolore?

Ma chi è? Chi sei, corvo? Esisti?

Foto di Alexas_Fotos da Pixabay

Accidenti che libro! Un viaggio psichedelico che ancora non ho capito se mi sia piaciuto molto o poco… di certo è tutto tranne che banale!

Ma andiamo per ordine…

Inizio con lo scrivere che Il dolore è una cosa con le piume (traduzione di Silvia Piraccini, Guanda) è il libro d’esordio di Max Porter esordio “con il botto” considerato il fatto che il New York Times lo ha giudicato uno dei migliori 100 libri del 2016. Molti gli apprezzamenti e molte le lodi, tra tutte quelle che ho letto condivido in toto quella del Los Angeles Times:

«Il dolore è una cosa con le piume è la prova del valore salvifico che hanno i libri e la letteratura.»

Questa è la storia di una famiglia in cui un lutto improvviso cala, come colpo d’accetta, sulla tranquillità familiare.

Niente vittimismi, niente frasi fatte, niente parole balsamiche, niente coccole e niente tisane lenitive… in queste pagine c’è lo scomodo, il dolore, l’alcol, le sigarette, il lezzo. Pagine in cui il punto di vista cambia spesso: parla il padre, parlano i figli – ma quale dei due? Uno? Tutti e due? Si distinguono? Serve distinguerli?– e parla il Corvo.

Importante è dire che uno dei protagonisti, il padre (rimasto vedovo), è uno scrittore studioso di Ted Hughes.

Uscendo dal libro, nella realtà, Ted Hughes scrisse Corvo nel 1970, cioè dopo il suicidio della moglie Sylvia Plath e dell’amante – poi divenuta compagna – Assia Weavill che si tolse la vita “portando con sé” loro figlia Shura.

E dalla realtà usciamo, entriamo, riusciamo e rientriamo… dalla realtà vera e da quella romanzata, intendo.

Max Porter è geniale, perché geniale è il suo stile narrativo, il suo giocare con le parole, il suo accostarle, scostarle, scomporle e cucirle vicine. Gioco di rime, di troncature, di elisioni, di suoni, di versi, di sconclusionate conclusioni.

Pagine in cui il lessico scontato, convenzionale, eticamente corretto, arzigogolato, elegante, non è pervenuto. Tutto è ritmo, frasi corti, a volte cortissime.

124 pagine visionarie, allucinanti, oniriche, all’apparenza senza senso. All’apparenza.

L’autore ha incentrato molto sul procedimento iconico, evocativo, utilizzando anche, spesso, suoni onomatopeici – che, personalmente, non amo trovare nei romanzi – e trascrizioni fonetiche.

Amo, invece, gli elenchi – li adoro proprio – sia di elementi semplici che strutturati e complessi; Porter in questo è stato generoso regalandomene in abbondanza; l’uso perfetto delle virgole a dividere – o unire? – parole abbinate e legate tra loro magari da flussi di ricordi e associazioni a ruota libera l’ho trovato eccellente.

Ritmo, ritmo perfetto. Velocità, moto d’acqua che taglia le onde del mare in burrasca.

E sono rimasto lì a respirare la loro aria e a riflettere come sempre – su cose come la fragilità, i pericoli, la fortuna, l’imperfezione, il caso, la gentilezza, la capacità di ridere, la sincerità, gli occhi, i capelli, le ossa, l’impossibile fermento silenzioso con cui l’epidermide si rinnova, mai in subbuglio, sempre baciabile per quanto io la ferissi, per quanto salata la facessi e nonostante le tante notti in cui l’amore che provavo per quei bambini mi aveva lacerato, squarciato, e ho chiesto ai bambini, a voce alta:

Voi volete VOLTAR PAGINA E ANDARE AVANTI?

Porter ha delegato ai figli “la saggezza” e, a tratti, “la cattiveria giustificata”, al padre “le tenebre” e al Corvo “la follia”.

Corvo.

Guarda, senti, l’ho fatto o no, ohu guarda, in malora. Bel libro, corpi strambi, apri la porta, sbatti la porta, sputa questo, lecca quello, tira su, ohu senti, basta. Tenera occasione. Non importa, di sera e sul far del giorno tutto cambia sempre, carne qua, carne là, separare il marcio. L’ho fatto o no, uh, tarmacadam. Commestibile, colloso, cattivo camuffamento. Legami all’albero maestro o la sbatto finché con la mia matematica non le cavo scusa, scusa, scusa, guarda! Una mano mozza, rovi, scatole di fiammiferi, scatole di storie, arco di piscio, così va meglio, fermati, calmati, basta colpi dal maestro. Ohu senti, fidati. San Vincenzo l’ho consegnato fedelmente a Lisbona o no? Viaggio tranquillo, un po’ di fegato, sniff, sniff, ammorbidente, cuoio, ringhiere fuse in bombe, pallottole. La strega: l’ho portata in spalla all’altra sponda o no? Merda, no. Canta merlo canterino che ti faccio il culo giallo, cattivello, bambolino, scherzo, cric, scherzo, crec, scherzo. Un po’ di pazienza. Avrei potuto metterlo a testa indietro su una sedia e fargli una flebo di amari bollettini della vera ora d’agonia di sua moglie. ALTRI UCCELLI LO AVREBBERO FATTO, non c’è cattivo buono nel regno. Dai, su, al lavoro.

Credo nel metodo terapeutico.

Non c’è cattivo buono nel regno.

E dalle tenebre più nere, dal fango melmoso di un’anima impantanata, da occhi resi ciechi dal dolore, un frullo d’ali e un Corvo capace di proteggere il suo nido dall’aquila dalla testa bianca. Ma il corvo è male? Il Corvo dal piumaggio fuligginoso è sempre di cattivo augurio, foriere di sventura? Secondo la Bibbia è stato il Corvo a mostrare a Caino come smuovere il terreno per nascondere il corpo di Abele; nella favola di La Fontaine è stato vittima del suo smisurato ego; da messaggero di Apollo, per la troppa sincerità, ci rimise il color delle piume…

Comunque, da che parti la si guardi, il Corvo è un potente simbolo di metamorfosi, di cambiamento, capace di mutar in vita un corpo in decomposizione… e questo ha fatto anche in questo romanzo di Porter – romanzo?

Di cosa è fatto? Di piume, di carta, di sangue, di inchiostro, di sogno o di incubo? Da dove nasce? Dalla mente di Porter o dalla mente dello scrittore protagonista del libro? Chi è chi? Tutto è stato un flusso di coscienza? Tutto è stato metabolizzazione?

Che strano, la risposta non è scontata ma aperta al lettore e questa sì che è geniale bravura!

Io che amo il verismo mi sono ritrovata destabilizzata davanti a una trama impossibile da catalogare: non un fantasy, non un libro di psicanalisi palese, non un romanzo canonico, non fantascienza, non un libro intimista, non solo una fiaba moderna. Destabilizzata, , perché credo mi sia piaciuto nonostante non ne sia stata certa durante la lettura. Destabilizzata perché ci capivo tanto e non ci capivo nulla!

Che ho letto? Boh, mica lo ho capito… ma credo di esser contenta di averlo fatto, anche se a tratti mi sentivo tra mangrovie piumate.

Olio, quando si guarda meglio fango, quando si

guarda meglio sabbia, quando ce ne si disseta, creta che diventa seta.

Mi mancava così tanto che avrei voluto costruirle un monumento di trenta metri a mani nude. Avrei voluto vederla seduta in un’immensa poltrona di pietra a Hyde Park, a godersi la vista. Chiunque fosse passato avrebbe capito quanto mi manca. Quanto è fisica la sua mancanza. Mi manca così tanto che è un gigantesco principe placcato d’oro, una sala da concerto, mille alberi, un lago, novemila autobus, un milione di auto, venti milioni di uccelli e anche di più. La sua mancanza è tutta la città.

Bleah, ha detto Corvo, parli come una calamita da frigo.

Cercando notizie sull’autore, ho trovato un’interessante intervista fatta da Elvira Grassi per il Blog “minima & moralia”, vi lascio il link qui; sotto, invece, un’intervento di Porter che ho trovato su Youtube.

Se leggerete il libro – o se già lo avete fatto – sarei curiosa di confrontare la mia opinione con la vostra.

Lisa.

6 risposte a "Recensione “Il dolore è una cosa con le piume” Max Porter"

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